Le occhiaie della Barbieri e gli occhiali
di Guccione
di Massimo
Celani
Da quando la pubblicità cita se stessa, da quando svela i
suoi meccanismi, i suoi trucchi - il più delle volte ironicamente - insomma da
quando va scivolando sull’asse metapubblicitario, ci si appalesa la dimensione
intertestuale, i debiti coi precursori.
"Nessuna parola è singola, nessuna parola comincia con se stessa. Abbiamo sempre ascoltato in precedenza. Abbiamo sempre già detto qualcosa. Abbiamo sempre ancora qualcosa da dire" - scriveva Hans G. Gadamer. Allo stesso modo sarà ragionevole sostenere che nessuna pubblicità è singola, nessuna pubblicità comincia con se stessa. Così, in questa tornata elettorale, tra tanto piattume, tra tanta pochezza che nulla di buono presagisce, tra frasi contorte (“una città, non solo un politico”), approcci iperbolici, puntini sospensivi e lettere maiuscole senza motivo, virgolette e – new entry – hashtag senza senso e senza possibilità di aggregare alcunché di tematico, si è fatta notare l’affissione di grande formato, il gesto inaugurale di un paio di occhiali senza volto. Dunque senza prosopopea, senza facce e posture stereotipate, senza sorrisi posticci e atteggiamenti pensosi (che dovrebbero essere tranquillizzanti e che invece raggiungono il massimo del cattivo gusto e dello straniamento). Un paio di occhiali, inutile dirlo, da vista (spessi e pesanti) e una frase: “è ora di vederci chiaro”. Messa in scena senza fronzoli, su una campitura bianca raddoppiata dal biancore dei veicoli semoventi (le cosiddette “vele”), pareti mobili in movimento o parcheggiate in angoli strategici della città. Particolarmente gustose, graziose, le vele più piccole, piazzate non sui camion bifacciali ma su apette pure rigorosamente di color bianco .
"Nessuna parola è singola, nessuna parola comincia con se stessa. Abbiamo sempre ascoltato in precedenza. Abbiamo sempre già detto qualcosa. Abbiamo sempre ancora qualcosa da dire" - scriveva Hans G. Gadamer. Allo stesso modo sarà ragionevole sostenere che nessuna pubblicità è singola, nessuna pubblicità comincia con se stessa. Così, in questa tornata elettorale, tra tanto piattume, tra tanta pochezza che nulla di buono presagisce, tra frasi contorte (“una città, non solo un politico”), approcci iperbolici, puntini sospensivi e lettere maiuscole senza motivo, virgolette e – new entry – hashtag senza senso e senza possibilità di aggregare alcunché di tematico, si è fatta notare l’affissione di grande formato, il gesto inaugurale di un paio di occhiali senza volto. Dunque senza prosopopea, senza facce e posture stereotipate, senza sorrisi posticci e atteggiamenti pensosi (che dovrebbero essere tranquillizzanti e che invece raggiungono il massimo del cattivo gusto e dello straniamento). Un paio di occhiali, inutile dirlo, da vista (spessi e pesanti) e una frase: “è ora di vederci chiaro”. Messa in scena senza fronzoli, su una campitura bianca raddoppiata dal biancore dei veicoli semoventi (le cosiddette “vele”), pareti mobili in movimento o parcheggiate in angoli strategici della città. Particolarmente gustose, graziose, le vele più piccole, piazzate non sui camion bifacciali ma su apette pure rigorosamente di color bianco .
la bianca movida di Carlo Guccione
Non entro nel merito dell’enunciato, perlomeno sembra
coerente con l’offensiva parlamentare scatenata dallo stesso partito
dell’occhialuto candidato contro l’occhiuto sindaco uscente. Mi limito a
registrarne la coerenza verbo-visiva, instaurata dal segno degli occhiali con
lo slogan. Come in tutti gli altri prodotti comunicativi, pittorici, letterari
o comunque artistici – lo si evocava all’inizio – esistono dei precursori, una
dinamica intertestuale e agonistica, che, per quanto possibile su un quotidiano,
proverò a mappare. Il punto di partenza, almeno come suggestione letteraria,
sembra essere Proust: “gli occhiali erano potenti e complicati, simili a
strumenti astronomici, crudelmente in contrasto con la sua occasione umana”.
decennale della scomparsa di Giacomo Mancini, art
direction Luciano Mastrascusa
Secondo Daniele Garritano, giovane studioso del testo
proustiano, “per la vista si tratta infatti di condurre la mente al di là del
regno della vista, a quello del senso. Lo sguardo critico decifra le parole per
accedere all’intuizione del loro pieno significato: questa percezione non ha
più nulla di un atto visuale, se non per metafora”. E’ arrivato il momento di
far chiarezza, vuol dire che non c’è più la faccia rubiconda del candidato
(eppure c’è tutta, suggerita dalla sineddoche), che non c’è più niente da
vedere, salvo un biancore diffuso che squarci le oscurità della politica.
la campagna di Salvatore Perugini, art direction
Claudio Angel Alagia
“Occhiali” però sono
pure i cerchi neri scavati dall'insonnia, le borse sotto gli occhi, le rughe e
le zampe di gallina, che si formano per le ripetute contrazioni muscolari
periorbicolari.
la tessera del PSE, art direction Massimo Celani
Rosanna Barbieri, candidata sindaco a Crotone, andrebbe
messa in guardia dal cadere in routine cosmetiche e leviganti, dall’occultare
stanchezza e aria vissuta e invitata a stare lontana dai filler.
lo stucchevole AMO Cosenza non ha portato bene a Lucio
Presta, chissà se l’amorevole rivoluzione della Barbieri andrà meglio?
Rosanna Barbieri senza trucco
Tra i precursori di poco anteriori (evidentemente la
questione dello sguardo era nell’aria), c’è qualche affissione centrata sugli
occhiali – di marca - di Lucio Presta. Come se fosse sulla soglia, appena
arrivato, “tagliato” da un lato, col non trascurabile vantaggio di indugiare
sul volto del candidato prima incapricciato (chissà mai perché gli venne lo
schiribizzo di mettersi a fare il sindaco) e poi messo in fuga. Volto e sguardo
resi più interessanti e eleganti da una magrezza rapidamente sopraggiunta. Non c’è castrazione dello sguardo, il punto di
vista è chiaro al punto di avvalorare la riflessione di Merleau-Ponty: non vedo
che da un punto ma sono guardato da ovunque. Constatazione che a volte può
atterrire, soprattutto alle nostre latitudini.
Lucio Presta candidato vicino e lontano. Concept Aldo
Presta, art direction Giovanni De Luca
Tra i precursori culturali andrebbero poi segnalati “gli
occhiali di Pessoa”, come recita il titolo del saggio di Giap Parini sugli
eteronimi e la modernità, occhiali come dispositivo per tenere assieme tutti
quegli uomini che un uomo intelligente sospetta di essere, oppure – nella
peggiore delle ipotesi - le mille facce sofferenti di una coalizione che va da
Bersani a Morrone e a Verdini. Succede che quel manifesto con gli occhiali, gli
occhiali senza candidato, si sia subito dimostrato generativo, stimolando risposte
e parodie
Stesso format per Guru sindaco, art direction Nunzio
Scalercio
occhiali riposti nell’astuccio per Cosenza Libera
(peccato che la lingua italiana sia un optional)
Poi son fiorite sulla sua scia varie forme di “adaequatio”.
gli occhiali del candidato Francesco Turco
un’esplosione metonimica per la presentazione dei
candidati di “Oltre i colori”, art direction L. Mastrascusa
Rispondere uniformandosi, anche con accentuata ingenuità,
incorporare il claim del candidato sindaco, farne un apripista o un collante, è
comunque un interessante segno ludico, di gioco di squadra, di sublimazione, di
rinuncia alla propria creatività: quasi mai indovinata, quasi sempre
pasticciata e un po’ trash. Una misura
di salvaguardia nei confronti dell’abuso delle facce, il più delle volte di
bronzo (l’indicazione del materiale ovviamente è un eufemismo), della
pornografia dilagante di volti e slogan. C’è però da non dimenticare l’altro
aspetto della vista, il senso impaziente, insaziabile e colpevole dello scrutare,
della pulsione scopica. Da Sant’Agostino a Jean Starobinski la concupiscientia oculorum è il male per
eccellenza. Così può capitare che, in presenza di una disoccupazione giovanile
così lancinante, certi giovanissimi confondano le elezioni amministrative col
casting di un talent show. Poco importa se non ho consapevolezza alcuna del
bene comune, se non so nulla di amministrazione pubblica, di diritto, economia,
logica, etica, scienze politiche; se ho la faccia da scemo (“Lombroso santo
subito”?), un sorriso furbo e una mise sexy (salvo radicali fraintendimenti
sulle quote rosa, inappropriata per l’occasione). Cosenza’s Got Talent, il 5
giugno rischia di trasformarsi nelle prove generali di improvvisati startupper,
più vicini a Endemol che a Unical, un incubatore di Neet (niente studio né
lavoro) in procinto di trasformarsi in politicanti senza scrupoli. S’intende
che si tratta d’inventarsi un’occasione di lavoro, ma è grave che solo il
Movimento 5 stelle e Cosenza in Comune pongano la questione di un reddito di
dignità che ci metterebbe al riparo da siffatta improvvisazione oltre che dalla
microcriminalità.
E allora meglio gli occhiali di Guccione e una forma
silenziaria di comunicazione elettorale. Anche perché è preferibile il segno di
una vista declinante al cattivo gusto, alle pose sciocche e ai volti che
tradiscono un elettroencefalogramma piatto. Miope o presbite, da vicino come da
lontano sarebbe auspicabile tenersi alla larga dai super-scienziati,
soprattutto se transfughi, quelli che parlano correntemente sei lingue straniere
e che son capaci di dire di sé “un professionista polivalente con un superbo
track record nella gestione di progetti complessi e funzionali in vari ambiti”
(testuale da curriculum). Un colossale errore di calcolo che darà appuntamento
dal notaio in men che non si dica. Quanti anni serviranno ancora in Calabria per
un reclutamento fatto di persone dalla spiccata passione civile, senza unti del
Signore, sufficientemente competenti, col minimo sindacale dell’umorismo e col
senso del limite?
Il Quotidiano del Sud, 3 giugno 2016
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